Per dimagrire una ragazza su quattro non si inietta la dose quotidiana di insulina, rischiando anche la morte

Viene chiamata diabulimia, rientra nella famiglia dei disturbi del comportamento alimentare ed è ancora poco conosciuta anche se è una realtà in crescente aumento tra le giovani adolescenti affette da diabete di tipo 1, che omettono volontariamente di farsi le dosi di insulina giornaliere necessarie al normale e corretto funzionamento dell’organismo: «Trattandosi di un ormone anabolico – spiega la dietista della Clinica pediatrica dell’Università di Milano Luigi Sacco Alessandra Bosetti – evitare di somministrarsi la dose giornaliera, permette di controllare meglio il peso corporeo. Normalmente prima della diagnosi della malattia queste persone sono molto magre perché non assorbono il glucosio. Grazie all’insulina ricominciano a farlo e tornano velocemente a un peso ragionevole. Ma le adolescenti spesso temono di ingrassare troppo e smettono di curarsi senza capire che questo può essere letale». Infatti in questo modo si induce una situazione di «catabolismo» simile all’auto cannibalismo: si perde massa muscolare di organi, tessuti, strutture dell’organismo (enzimi, ormoni).

 

LE CONSEGUENZE – I pazienti affetti diabulimia vanno incontro a cheto acidosi con progressivo peggioramento della funzionalità renale, neuropatia grave con pericolo di cecità, cardiopatia, osteoporosi con incremento delle fatture ossee e, se prolungata nel tempo, morte improvvisa. Ma quanto è diffuso questo allarmante fenomeno? «Si stima che una ragazza su quattro in terapia con insulina, di età compresa tra i 13 e i 18 anni, si auto riduca, fino a omettere, sia le iniezioni di insulina, che le prove di glicemia capillare che quotidianamente devono essere effettuate per monitorare l’andamento glicemico della giornata», precisa Bosetti. Uno scenario molto preoccupante che richiede un approccio multidisciplinare di equipe opportunamente formate: «Quando si scopre un problema di questo genere la paziente viene sottoposta anche a un sostegno psicologico e, nei caso più critici, a una valutazione da parte di un neuropsichiatra infantile. Ma il nostro obiettivo è la prevenzione».

PREVENZIONE – Prevenzione che nelle pratiche terapeutiche del Sacco si basa prevalentemente sull’aspetto psicologico: «Per una adolescente è difficile accettarsi con una malattia cronica, inoltre si trova a far fronte a restrizioni alimentari e paura di ingrassare: bisogna tenere presente che c’è un mondo di disagio psicologico intorno a questo problema». Per questa ragione l’approccio del team del Sacco, diretto dal direttore della Clinica Pediatrica dell’università degli Studi di Milano, Gian Vincenzo Zuccotti e il responsabile del Servizio di Diabetologia Pediatrica Andrea Scaramuzza, non è restrittivo: «E’ fondamentale far capire che il diabetico non deve privarsi di tutto ma può seguire un tipo di alimentazione equilibrata e protettiva come quella che dovrebbero seguire tutti». L’Ospedale offre ai ragazzi affetti da diabete di tipo 1 e alle loro famiglie un supporto terapeutico a tutto tondo basato sul Parental training.

Giulia Cimpanelli